Chiamarsi per nome

"Chiamarsi per nome", il video del progetto L'Arte della Libertà

7 aprile 2020 –

“Chiamarsi per nome”. Si intitola così il documentario a cura di Elisa Fulco e Antonio Leone , con la regia di Georgia Palazzolo, che racconta un anno di lavoro del progetto L’Arte della Libertà, svolto all’interno della Casa di Reclusione Ucciardone di Palermo, dando la parola ai detenuti, agli operatori penitenziari, agli operatori socio-sanitari, all’artista Loredana Longo, ai curatori Elisa Fulco e Antonio Leone, ai sostenitori del progetto (Fondazione CON IL SUD e Fondazione Sicilia), per rendere comprensibile il modello alla pari generato dall’orizzontalità dei processi artistici.

Proprio un detenuto, Guido, racconta degli inizi difficili, di quanto non sia stato semplice “chiamarsi per nome” in un contesto in cui abitualmente si mantiene la distanza. Annullare i ruoli, le funzioni, nel tempo sospeso della creatività, che rende chiari e visibili concetti e valori come vicinanza, confidenza e familiarità e l’alto tasso di umanità raggiunto, scoprendo per la prima volta i nomi di battesimo degli agenti della polizia penitenziaria.
Un percorso composto di tre parti diverse e complementari – il workshop intensivo con l’artista Loredana Longo, i laboratori con gli artisti con le lezioni di arte contemporanea di Giulia Ingarao, e le visite guidate nei musei cittadini (GAM, Palazzo Branciforte, Museo archeologico, Palazzo Butera, etc), che insieme hanno determinato un cambiamento, un ribaltamento dei punti di vista. Come quello proposto da Alexander che lancia l’idea di chiudere le persone in una cella per un’ora, facendogli provare cosa significa sentir girare la chiave e dover chiedere permesso per avere un foglio di carta, o una penna, per capire meglio qual è la loro condizione e parlarne insieme dopo.
Tante le lezioni apprese, tante ancora quelle da imparare, compresi i suggerimenti di un altro detenuto, Silvio, che propone di coinvolgere le famiglie nei workshop, nei laboratori, nelle visite guidate, perché è importante che anche loro abbiano la possibilità di apprendere tutto quello che hanno appreso loro.

“Chiamarsi per nome” significa anche recuperare l’umanità che si è persa negando il cognome alle persone, con le tante analogie tra mondo della detenzione e delle follia (riforma carceraria 1975, riforma Basaglia, 1978), la cui identità sociale è stata ed è a tratti cancellata. “Chiamarsi per nome”, è un lungo processo di inclusione, in cui il momento più triste è quello in cui ci si separa, con i detenuti in fila come bambini buoni da ricondurre non a scuola ma in cella, che lasciano passare noi, i “liberi”, riconsegnandoci alle nostre vite.

Arte, impresa e sociale. Le acrobazie non si fanno mai da soli

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