Tu es canon

Il blog "Tu es canon. Pour une manifeste del la mode inclusive,raccoglie le storie della moda inclusiva e registrando il cambiamento dà spazio a nuove forme di sostenibilità in bilico tra arte, moda, diversity management e disabilità.1.

14 maggio 2021

Si parla sempre più spesso di sostenibilità ambientale e poco di sostenibilità sociale della moda, pur essendo strettamente collegate. Il blog “Tu es canon. Pour une manifeste de la mode inclusive”, ideato da Elisa Fulco e e Teresa Maranzano, promosso dall’Associazione ASA handicap Mental di Ginevra, indaga il tema dell’inclusione sociale nella moda, dalla rappresentazione della diversità (razza, genere, orientamento sessuale, taglie, età) alle potenzialità della moda “adattiva” (incluso l’utilizzo del 3d per la messa in produzione di capi su misura), al ruolo dei disabili nei percorsi di co-progettazione (progettato da, con e per). Non a caso il principio “Nothing about us without us”, ha guidato nella stesura del Manifesto di moda inclusiva  presentato il 27 maggio alla Comédie di Ginevra: 7 punti ispirati dal Design for All in cui si rivendicano libertà di scelta, diritto allo stile, autonomia, ergonomia, rappresentazione delle diversità e co-progettazione.

Un progetto di ricerca che ricostruisce le origini della moda adattiva, seguendo l’evoluzione dalle soluzioni individuali (il Do it your self dei disabili, veterani americani in particolare), alla creazione di dispositivi medici come risposta riparativa della collettività, sino all’ esperienza pionieristica del primo marco di moda adattiva, Functional Fashions Line di New York, nato dal sodalizio tra la design disabile Helen Cookman (a cui si deve il brevetto dei primi jeans adattati commerciati dalla Levis’ negli anni Settanta), e l’editor di moda del New Times, Virginia Pope.
 

Curzio Di Giovanni, Collection de l’Art Brut, Lausanne

Un’esperienza in cui sono confluite le innovazioni introdotte dallo sportwear americano, che proseguono oggi con la ricerca portava avanti dal marchio Tommy Hilfiger, che proprio nel 2017 ha lanciato la linea Tommy Adaptive per bambini e l’anno dopo per adulti, dalla Nike e da numerose start up che lavorano per creare abiti su misura, coniugando 3d (Stitch), intelligenza artificiale ( At eye Level, Be Wear) e abito digitale (The Fabricant).Il corpo disabile, “plus size” e fuori dalla norma, rimasto a lungo “svestito”, escluso dalle passerelle, dalle copertine, dalle vetrine e dalle installazioni museali, sta finalmente conquistando nuovi e inaspettati spazi, anche attraverso un oggetto, strettamente collegato alla storia della moda e alla sua messa in scena: il manichino. Il primo manichino di “Little person”, realizzato nel 2018, ha preso le misure dell’attivista Sinéad Burke, che ha raccontato l’emozione di vedersi riprodotta in scala in occasione della mostra Body beautiful: diversity on the catwalk; ugualmente, hanno fatto notizia i manichini “curvy” e paralimpici introdotti dalla Nike nel 2019 a Londra, nel più importante negozio di Oxford Street, emblema della filosofia di “body positivity” adottata dal marchio. 

Già nel 1998, lo stilista inglese Alexander McQueen, aveva curato come Guest editor del magazine Dazed and confused, il numero “Fashion Able?”, la cui copertina era dedicata alla modella paralimpica Aimee Mullins, per cui nel 1999 ha ideato le protesi di legno della famosa collezione numero 13. Nel suo editoriale scriveva che la moda era in una strettoia e che continuava a perpetuare il canone (bellezza, magrezza, pelle chiara), senza vestire e includere persone con corpi diversi. Il suo obiettivo attraverso la rivista era proprio quello di dare una forma estetica e gioiosa alla rappresentazione delle differenze, invitando stilisti a duettare con modelli disabili, collaborando con le associazioni di disabili inglesi per progettare abiti adattati e su misura di rara bellezza.

“Tu es canon” raccoglie le storie della moda inclusiva e registrando il cambiamento dà spazio a nuove forme di sostenibilità in bilico tra arte, moda, diversity management e disabilità.

Anila Rubiku, I’m still standing, 2019.

Arte, impresa e sociale. Le acrobazie non si fanno mai da soli

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